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Aristeo, dio ottimo o delle cose migliori, è per
definizione una figura civilizzatrice,
dispensatrice di felicità, prosperità e concordia.
Esercita il suo magistero nella lavorazione dei
campi e delle vigne, nella piantagione degli
alberi, pastorizia, caccia; inventa svariate
tecniche connesse all'olivicoltura e alla
torchiatura, alla lavorazione del latte e del
miele, la «decima parte dell'immortalità».
Nasce in Africa da Cirene, ninfa cacciatrice
originaria della Tessaglia condotta qui in volo
dal futuro sposo Apollo. Viene educato dal
centauro Chirone e dalle ninfe, che lo rendono
immortale («Zeus immortale») nutrendolo con
nettare e ambrosia e iniziandolo alle varie arti
dell'agricoltura, della pastorizia, della caccia,
dell'arte medica e della profezia.
Alcune di queste qualità sono richiamate dagli
appellativi di Agreo (cacciatore) e Nomio
(Guardiano delle greggi o pastore), così come il
suo magistero nell'apicoltura gli valse la
denominazione di «Zeus Milichio» o «Zeus melato»
dei morti.
Divenuto custode delle greggi delle Muse Ftia,
in Tessaglia, sposa in Beozia Autonoe, figlia del
leggendario Cadmo, re fondatore di Tebe; ebbe da
lei Macride, la famosa nutrice di Dioniso, e
Atteone, la cui tragica morte fu causata da
Artemide che, spiata dal giovane mentre era
intenta a lavarsi alla fonte Partenia, in Beozia,
ordinò ai suoi cani, dopo averlo trasformato in
cervo, di straziarne le carni.
Nell'isola di Ceo, nelle Cicladi, suscita i venti
etesi per cancellare gli effetti nefasti di una
pestilenza causata dalla stella canicolare Sirio.
Merita di essere ricordata tra le peregrinazioni
dell'eroe, in questa succinta nota, la meta finale
in Tracia, dove Aristeo prende parte ai misteri di
Dioniso, figura cui finirà per essere assimilato
per via dei comuni poteri mantici e per i legami
col mondo chtonio e agrario. |
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L'arrivo di Aristeo in Sardegna è riferito dalle
fonti all'interno di una sequenza o ciclo eroico
dei personaggi mitici giunti nell'isola.
Il
De mirabilibus auscultationibus riferisce
di un suo governo nell'isola (non diversamente da
Solino, IV,2, per il quale Aristeo regnò,
fondandola, nella città di Cagliari), resa fertile
e liberata dagli infestanti animali selvaggi prima
della conquista della Sardegna da parte dei
Cartaginesi. I tratti di ecista vengono respinti
da un'altra tradizione (Pausania X, 17, 4), che
non scorge nella esiguità numerica e conseguente
ristrettezza delle forze del gruppo che lo
accompagnò, la possibilità «di fondare una nuova
città».
Limitatamente alle modalità e alle ragioni del suo
arrivo, posto dal periegeta tra
Sardo e
Norace
(ordine che viene invertito a favore di quest'ultimo
in
Solino) e dopo Sardo e i Troiani in
Silio
Italico, (XII, 375-369) si dice che Aristeo giunse
in Sardegna -dietro consiglio della madre
(Diodoro, IV, 82,4) a causa del dolore provato per
la morte di Atteone (Sallustio II, fr. 7, e
Pausania , X, 17,3) - passando per Creta
(Sallustio) o per la Libia dopo aver lasciato i
figli a Ceo (Diodoro). A lui si deve
l'introduzione della caccia (De mirabilibus
Auscultationibus) e dell'agricoltura (Diodoro)
nell'isola, dove gli nacquero due figli dal
significativo nome di Charmos (Grazia) e
Callicarpo (Belfrutto).
Infine, solo Sallustio e Pausania gli affiancano
Dedalo nel ruolo di accompagnatore, per quanto il
secondo contesti prontamente il senso della
notizia sulla base dell'anacronismo individuabile
nel porre in relazione personaggi vissuti in
epoche distinte: Aristeo, infatti, è vissuto,
secondo la genealogia comparata, almeno due
generazioni prima dell'artefice ellenico. La
forzatura operata nell'inserire la figura fu
quindi il frutto di una sistemazione del racconto
tesa ad esaltare con maggior pienezza il ruolo
assunto dagli ateniesi in Sardegna. |
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L'immagine di Aristeo è tramandata da un complesso
scarno di attestazioni riferibili prevalentemente
ad età arcaica e romano-imperiale.
Il
personaggio di età arcaica evidenzia gli attributi
figurativi propri di un dio della vegetazione,
come nell'olpe protoattica, da Vari ora custodita
al Museo di Atene, e nelle placchette votive
dell'Heraion di Argo, da cui si ricava
l'immagine di un giovane imberbe alato che reca in
una mano l'axine, uno strumento da lavoro
connesso alle sue attività, e nell'altra una sacca
da cui sporgono i tappi di tre ampolle (alabastra?)
contenenti forse il miele, il latte e l'olio; le
ali alluderebbero invece alla sua capacità di
essere dispensatore di venti favorevoli.
Il Nicosia ha identificato con Aristeo il
personaggio alato "che con una mano trae a sé per
una zampa il cervo" (animale a lui caro) "e con
l'altra trasporta un probabile torchio",
raffigurato nel rivestimento in osso di un
recipiente in sughero di tradizione
orientalizzante rinvenuto nella tomba etrusca
della Montagnola di Quinto Fiorentino.
Il trasferimento progressivo di poteri ad altre
divinità del pantheon olimpico, testimoniato
indirettamente da attestazioni di un suo culto in
santuari dedicati ad Hera e a Dioniso,
determina dal V al II sec. A.C. un vuoto di
raffigurazioni, seguito in età romano-imperiale
dalla ricomparsa, a livello iconografico, di
rappresentazioni di un dio ora pienamente
accostabile ad Apollo, Esculapio e Zeus.
Come dio guaritore infatti, egli porta sul capo
una corona turrita, indossa l'himation e si
appoggia a un bastone intorno al quale si avvolge
un serpente, l'animale sotto le cui sembianze Zeus
Milichio si presentava all'adorazione dei mortali.
Una statua mutila del II sec. a.C. proveniente da
Cirene ce lo mostra con le sembianze di Esculapio.
Asclepio era come Aristeo una divinità salutare
che guariva come lui i mortali risuscitandoli
anche dalla morte (Kerényi). Un suo culto nella
città romana di Nora (Pula-CA) è provato dal
rinvenimento, all'interno delle strutture
cultuali, di alcune statuette votive fittili del
II sec. a.C. una delle quali raffigurante un
giovane dormiente avvinghiato fra le spire di un
serpente.
La graduale successiva assimilazione del
personaggio a Zeus è documentata in un alabastron
di Bonn, dove il dio è raffigurato barbato e con
un fulmine.
Poggia su basi più labili l'identificazione
compiuta dallo Stucchi, di Aristeo in uno dei
personaggi raffigurati in un mosaico dalla
Neapolis tunisina e conseguentemente, di una
statua mutila del frontone di Apollo a Cirene
alludente all'arrivo di Batto Aristotele alla
presenza della ninfa eponima, di Aristeo e Apollo. |
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Il
culto di Aristeo è presente in numerose aree del
Mediterraneo, con significative sovrapposizioni
con le località e regioni (Arcadia, Beozia,
Tessaglia, Creta, Ceo, Eubea, Calcide ....) che le
fonti mettono in correlazione con le vicende da
lui compiute (ANGIOLILLO).
Cicerone riferisce del furto della sua statua, ad
opera di Verre, dal santuario di Dioniso, a
Siracusa. Una sua probabile menzione si ha in
un'iscrizione beotica del III o del II sec. a.C.
Da Lacco Ameno (Ischia) proviene la base di un
donario con dedica al dio, databile al II-I secolo
a.C., così come in 350 vasi del I sec. a.C.,
provenienti da Hyères (Marsiglia). E' ricordato
come ecista a Cirene, dove gli viene ascritta la
coltura del silfio, una pianta endemica della
Libia la cui qualità principale risiedeva nella
linfa, apprezzata come medicina o essenza. |
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Le
caratteristiche dell'Aristeo sardo sono quelle del
protos euretes per eccellenza, ossia
del "primo inventore", il cui apporto culturale fu
determinante per l'economia e le istituzioni
locali.
Secondo la corrente interpretazione il suo culto
nell'isola avrebbe remote origini (MASTINO, UGAS).
L'appellativo ellenico risponderebbe infatti alla
ben nota tendenza a restituire coerenza e dignità
di presenza, nella varie formulazioni delle fonti,
a narrazioni e nuclei mitici isolati e di varia
matrice altrimenti non inquadrabili in una
struttura organica e unitaria; parrebbero potersi
perciò individuare, in questo specifico racconto,
componenti locali di un culto che si fissò, nella
sua veste ufficiale e definitiva, durante l'età
orientalizzante (NICOSIA, BERNARDINI, ANGIOLILLO),
quando cioè erano in pieno sviluppo cicli epici
aristocratici eventualmente supportati da
ideologie locali parzialmente assimilabili a
quelle esterne. L'indecisione delle fonti riguardo
alla precedenza dell'arrivo di Norace o di Aristeo
nascerebbe dalla difficoltà a sistemare in ordine
cronologico vicende "già fissate in epoche molto
antiche" (Nicosia), come documenterebbe una
figurina bronzea di età nuragica del "Museo Sanna"
di Sassari, mostrante un personaggio maschile,
l'incarnazione locale del "benefattore divino",
che porta sulle spalle una sacca con tre vasetti o
zucche da porsi in relazione, analogamente
all'iconografia arcaica, con i liquidi donati agli
uomini. Analoga lettura fornisce il Lilliu, per il
quale tale leggenda adombrerebbe uno "stadio
avanzato di struttura agropastorale" di "un
ambiente rurale migliorato e trasformato". Una
conferma a tali argomentazioni viene dalla Breglia
Pulci Doria, che, nel compiere una disamina
filologica delle fonti legate alla colonizzazione
euboica della Sardegna, inserisce il culto di
Aristeo entro l'ampio orizzonte culturale
contrassegnato dai rapporti tra la Sardegna ed
Ischia a cavallo tra l'VIII ed il VII secolo a.C.
Il riferimento ad un governo o ad una
frequentazione delle località meridionali della
Sardegna potrebbe inoltre costituire la traccia di
effettive relazioni e fatti storici accaduti in
età precoloniale, sulla scia dei rapporti
commerciali instaurati con i "Micenei" (MELONI,
DAVISON, ANGIOLILLO, NICOSIA, MASTINO), adombrati
in particolare dalla simbologia di Aristeo
inventore dell'olio, prodotto diffuso e smerciato
nel Mediterraneo da questo popolo (Mastino).
Di tutt'altre vedute è il Bondì, che scorge nella
sua saga e, più in particolare nella sua presenza
a Cagliari "il tentativo di riconoscere
implicitamente il carattere fenicio
dell'insediamento (...), assicurando nel contempo
precedenti di colonizzazione greca a regioni che
pure ne sono storicamente prive". |
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Il
culto di Aristeo persiste nell'isola sino ad età
romano-imperiale, venendovi richiamato da una
statuetta bronzea del II-III sec. d.C. (fig. 6),
rinvenuta dallo Spano nella campagna di Oliena, in
una località interessata dal toponimo medde
(miele?). Si tratta di una statua mutila
raffigurante un giovane dal corpo cosparso di api,
con due rosoni o fiori disposti sulla sommità del
capo e le cui braccia dovevano un tempo aver
sostenuto un ramo d'ulivo ed un attrezzo connesso
alla pastorizia. La Angiolillo ipotizza che
l'aspetto apollineo dello schema figurativo sia da
leggersi in seno a quel fenomeno di trasposizione
mitica cui il personaggio è sottoposto nel tempo;
la vitalità del suo culto si inscriverebbe inoltre
nel quadro di una situazione storica
caratterizzata da tanti fermenti religiosi e
filosofici: in sostanza Aristeo, rapportato ad
Orfeo come suo alter ego in veste di apicultore
modello e marito fedele, potrebbe aver trovato
spazio all'interno di culti misterici
tradizionalmente dedicati ad altre divinità del
pantheon classico. |
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